Intervista a Giuseppe Crippa, fondatore Technoprobe

Giuseppe Crippa, classe 1935, nato a Merate (Lecco), fondatore della azienda di elettronica Technoprobe: «Ho iniziato rispondendo a un’inserzione sul Corriere, ho sempre avuto molta fantasia e amo la tecnologia. Mia mamma era una maestra, mio padre impiegato. Il mio segreto? Il personale. Devo assumere altri 150 dipendenti»

A 87 anni è diventato miliardario grazie alla società che ha creato dopo essere andato in pensione. È cambiata la sua vita?

«La verità? L’ho scoperto leggendo la classifica di Forbes. Giusto per farle comprendere quanto contano per me i soldi. Servono, quello sì, ma per fare investimenti, ricerca, e aiutare chi è meno fortunato. In questo momento ho 10 euro nel portafoglio. Non è cambiato assolutamente nulla». Giuseppe Crippa, classe 1935, nato a Merate, fondatore della Technoprobe, azienda leader nel settore dei semiconduttori e della microelettronica, colosso nella produzione di probe card. Undici sedi nel mondo, tre centri di sviluppo, 2.300 dipendenti (mille assunti negli ultimi due anni), 393 milioni di fatturato nel 2021, 4,2 miliardi di capitalizzazione. A febbraio il debutto in Borsa. Il primo giorno le azioni sono state sospese per eccesso di rialzo. E Crippa è diventato uno dei nuovi otto miliardari italiani di quest’anno. Ma non certo per caso. «Ho sempre avuto molta fantasia e amo la tecnologia. Mia mamma era una maestra, mio padre impiegato. Io l’ultimo di tre figli. Zio Giovanni faceva il falegname e mi coinvolgeva. Lo aiutavo a costruire mensole e mobili. Sono cresciuto durante la guerra. Ricordo quando cercavamo riparo dalle bombe in una buca nel terreno accanto a casa. Diplomato perito ho iniziato a lavorare nella società ingegneristica Breda».

La svolta grazie ad un annuncio letto sul «Corriere della Sera».

«La StMicroelectronics cercava personale. Ho risposto all’inserzione e mi sono avventurato per la prima volta nel mondo dei microchip. Avevo 25 anni. Poco dopo mi hanno promosso capolinea di produzione. Mi sembrava di toccare il cielo con un dito. Era il mio sogno».

Quindi l’avventura americana.

«Nel 1962 l’azienda decise di mandarmi nella Silicon Valley per studiare la tecnologia rivoluzionaria che si stava sviluppando e portarla in Italia».

Lo ha fatto?

«Ho contribuito al lancio della prima linea di produzione di transistor in silicio in Europa. Ma mancava ancora qualcosa. All’epoca le probe card, che consentono di testare il funzionamento dei chip, erano prodotte solo negli Stati Uniti e per ripararle bisognava rispedirle in America. Ritornavano indietro dopo settimane. Così ho ideato un processo per fabbricarle nella mia cucina. Ho sempre sofferto di insonnia, lavoravo di notte».

I suoi figli la ricordano mentre trafficava con il saldatore in soffitta. Dopo qualche anno microscopi e macchine per tagliare avevano occupato garage e seminterrato. Poi nel 1995 la pensione e con la liquidazione decise di fondare la Technoprobe a Cernusco Lombardone. Ma chi glielo ha fatto fare?

«C’erano degli spazi di mercato che non potevo lasciarmi sfuggire. Avevo in mente una idea e l’ho realizzata. Ma sia chiaro, è solo grazie a mia moglie Mariarosa che ha sempre supportato tutte le mie pazzie se ci sono riuscito. Lo scriva, se non fosse per lei io da solo non avrei combinato proprio nulla. E poi ci sono i miei figli, Cristiano, con cui ho iniziato questa avventura quando aveva solo 19 anni, Roberto e mio nipote Stefano, che dirige la sede americana. Tutta la famiglia ha contribuito».

Come trascorre le sue giornate?

«In parte ancora in azienda. Lavoro su alcuni progetti per il miglioramento della qualità diminuendo i costi di produzione. E poi c’è l’orto sociale che abbiamo creato con la cooperativa Paso. È attaccato al capannone principale: occupa cinque disabili e i prodotti vengono venduti in un negozio in loco. Abbiamo piantato castani, faggi e altre essenze arboree».

Durante la pandemia, quando è partita la campagna vaccinale avete donato spazi e pagato personale per allestire un hub nei capannoni della Technoprobe. In sei mesi, somministrate 160 mila dosi.

«Gliel’ho detto. I soldi servono anche a questo. Altrimenti nulla ha più senso. Crescere per fare qualcosa per gli altri. E lo dico perché nella mia vita sono state molte le persone che mi hanno aiutato. Io non so cosa accadrà. So che bisogna continuare a investire nella ricerca perché l’evoluzione tecnologica è rapidissima. Bisogna studiare nuovi processi. Ma io la mia parte l’ho già fatta, posso ritirarmi soddisfatto».

Il segreto del successo?

«Il personale. Trovare i professionisti adatti. Con le persone giuste hai già vinto la tua battaglia. Nei prossimi mesi dovremo assumere altri 150 dipendenti».

Articolo di Barbara Gerosa, tratto da “Corriere Milano” – 11 giugno 2022